Divorzi, termini di violazione della privacy ed uso improprio di dati personali

Il quesito di oggi arriva da Simona. Risponde la dott.ssa Elisabeta Cocolo – Legale e DPO

Quesito 

Il mio compagno sta divorziando. Il divorzio è giudiziale per motivi economici. Non hanno figli. Nelle 3 memorie della controparte vengono citati più volte il mio nome e cognome, dove abito (con foto del mio citofono dove è riportato il mio cognome), dove lavoro, che posseggo case di mia proprietà (dato non vero), che ho fatto un viaggio a Dubai (dato non vero) e che ho fatto aprire un conto corrente e un conto titoli alla controparte (il mio attuale compagno).

Vi sono i termini di violazione della privacy ed uso improprio di dati personali? 

Simona, Cinisello Balsamo (MI)

Risposta 

I Giudici della Suprema Corte di Cassazione si sono, in più sentenze, espressi circa il reale valore della riservatezza nell’ambito del processo, anche in relazione all’accertamento dell’illegittima diffusione di dati personali che avrebbero dovuto rimanere riservati e che avrebbero dovuto essere trattati secondo la normativa vigente in materia di privacy. Ne scaturisce che è astrattamente legittima l’utilizzazione del dato personale altrui a fine di giustizia e che, se l’atto processuale che lo contiene risulta essere stato posto in essere nell’osservanza del codice di rito, non è configurabile alcuna lesione del diritto alla riservatezza.

È orientamento giurisprudenziale consolidato quello secondo cui “la produzione in giudizio di documenti contenenti dati personali è sempre consentita ove necessaria per esercitare il proprio diritto di difesa, anche in assenza del consenso del titolare e quali che siano le modalità con cui è stata acquisita la loro conoscenza”. Tuttavia “la facoltà di difendersi in giudizio utilizzando gli altrui dati personali va tuttavia esercitata nel rispetto dei doveri di correttezza, pertinenza e non eccedenza previsti dall’art. 9, lettere a) e d) della legge n. 675 del 1996, sicché la legittimità della produzione va valutata in base al bilanciamento tra il contenuto del dato utilizzato, cui va correlato il grado di riservatezza, e le esigenze di difesa” (Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 35296/2011).

Si tratta di  deroghe all’obbligo di rispetto della privacy che trovano configurazione nei casi in cui devono svolgersi attività investigative per l’acquisizione di prove da utilizzare nel corso di un giudizio – come nel caso di specie, di separazione o di divorzio. In effetti, sono proprio questi i casi in cui più si verifica la fattispecie oggetto del quesito. La ricerca della ratio  segue un processo logico in virtù della considerazione che ove la controparte fosse informata dell’intenzione (della parte avversa) di investigare sul suo conto, da un lato potrebbe alterare le proprie abitudini e condotta e, dall’altro – quasi certamente – negherebbe il consenso al quel trattamento dei dati personali che lo riguardano.

Ecco perché, l’art. 21 del GDPR ha introdotto una deroga al diritto dell’interessato a opporsi al trattamento dei dati personali, nelle ipotesi in cui vi sia l’esistenza di motivi legittimi cogenti per procedere al trattamento che prevalgono sugli interessi, sui diritti e sulle libertà dell’interessato oppure per l’accertamento l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria. Ai sensi dell’articolo 21 del Regolamento europeo è escluso il diritto di opposizione dell’interessato nel momento in cui il trattamento dei dati avvenga per l’esercizio di un diritto in sede giudiziaria. In tali casi è, altresì, esclusa la necessità di acquisire il consenso, nonché  di fornire informativa all’interessato, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tale finalità e per il periodo strettamente necessario all’esercizio del diritto. 

Il quesito in oggetto ci consente di allargare l’analisi all’attività di investigazione privata, rispetto alla quale è fondamentale valutare la legittimità dello scopo per cui vengono raccolti i dati. Ecco quindi che nei casi in cui i dati vengano raccolti per finalità meramente difensive e qualora vengano conservati per un tempo limitato e strettamente necessario al conseguimento della suddetta finalità potrà derogarsi agli obblighi di informativa all’interessato e di consenso del medesimo per la raccolta dei dati.

Il Codice di deontologia e di buona condotta per i trattamenti di dati personali effettuati per svolgere investigazioni difensive o per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria ha stabilito le modalità di azione che avvocati e investigatori privati dovranno applicare nel trattamento dei dati personali dei clienti, già nel corso della fase che precede l’instaurazione di un giudizio e fino alla fase successiva alla sua definizione.

Avvocati e investigatori privati, infatti, potranno informare la clientela una tantum, anche oralmente in modo semplice e colloquiale sull’uso che verrà fatto dei loro dati personali. L’informativa scritta potrà anche essere affissa nello studio o pubblicata sul sito web.

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